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galatina-centro-storicoUna città diventa tale quando l’autorità riconosce formalmente ope legis all’agglomerato paese che ne abbia fatto richiesta, un certo numero di requisiti: una storia più o meno secolare, una congrua popolazione, dei privilegi goduti ab antico, dei manufatti monumentali di pregio, un ruolo economico nel circondario, una serie di personalità programma condiviso e concertato, che ci prefigge, ovviamente, l’interesse generale della cittadinanza sovrana. Per legge chi ha maggioranza amministra, chi invece è minoranza vigila, anche occhiutamente, e controlla. Stando attenti tutti a non indebolire il cemento unificante della “universitas civium”, a non smarrire il senso delle regio “diploma”.

Una città di ottomila abitanti, amministrata da Vincenzo Vignola, divisa in tre ceti: galantuomini, artieri, popolari e contadini. Era la Terra di San Pietro in Galatina, la URBS GALATINA di Baldassarre Papadia, il quale carteggiava col Metastasio e non a caso pubblicava le sue “Memorie Storiche della Città di Galatina” quel medesimo 1792, dell’Abate Antonio Tanza, vicario a Taranto dell’arcivescovo Capecelatro, del filantropo Alberto Bardoscia, e di tanti altri homines novi che le danno lustro e ne rimarcano lo sviluppo civile, economico, culturale. Ma anche la Galatina, erede della quattrocentesca corte degli Orsini e di Maria d’Enghien, con la sua strategica centralità territoriale rilevata dal Galateo, di polmone commerciale ed emporium ortofrutticolo, sito al centro della provincia (in umbilico totius provinciae), crocevia di genti e di traffici, che è orgogliosa del proprio profilo urbano, delle sue chiese ornate, e che, “oltre di esser tutta palaziata e le strade tutte inselciate, contiene in sé tutte quelle prerogative che proprie sono delle più belle formate Città”.

Se oggi Galatina non possiede più quell’anima, se non riesce a splendere più come nel 1792 e giù di lì,se non ha più il decoro civile di un tempo, se appare scollata e frammentata, se la sua classe dirigente non è più all’altezza del passato, se non ha lo smalto delle sue epoche migliori, quali potrebbero essere i rimedi? Occorre ripensare il suo passato, non un ritorno meccanico, bensì una riscoperta delle radici accompagnata da una nuova profonda riflessione, sostenuta da una robusta cultura che ricrei il sistema Paese, una convinta ripartenza progettuale, che sappia ricucire spezzoni di comunità, rinnovando il Paese nel rigore dei comportamenti e nella consistenza degli ideali. Oggi sta ai galatinesi migliori ispirarsi agli esempi del passato per fermare il declino della loro bella città, “operosa e ricca di avvenire”, ripeterne i fasti, contrastando con tutte le forze il prevalere degli interessi individuali su quelli generali, e costruendo una città nuova, giusta, isonomica, solidale.